le testimonianze sulla trudarmee

Heinrich Dorn
ci descrive come ha vissuto nella Trudarmee

Il primo campo era Wolgalag, vicino a Saratov. Siamo stati impiegati nella costruzione di una linea ferroviaria. Tutto doveva essere fatta a mano. Non ci sono state macchine.

Tutta la terra per innalzare l’argine veniva mossa con delle carriole. Ricevemmo una ruota per la carriola e per il resto dovevamo provvedere con una specie di ascia e una sega.

x

Anche le traversine ferroviarie dovevano essere tagliate da noi utilizzando tronchi d'albero tagliati e poi sistemati. Particolarmente difficile era il trasporto delle traversine pesanti. Dovevano essere portate sulle spalle per lunghe distanze.

Spesso le nostre spalle erano così strapazzate che non sapevamo più cosa fare. Costruimmo dei cuscini con ogni possibile materiale, ma ci aiutavano poco. Nonostante gli strumenti primitivi e la sofferenza quotidiana il lavoro procedeva bene. In autunno la tappa ferroviaria a noi assegnata era pronta.

Saremmo tornati a casa ora? Avrei potuto aiutare nella raccolta ad Asorna? Ma le nostre speranze svanivano rapidamente. La nostra colonna è stata trasportata ad ovest, quasi fino a Mosca.

Da lì siamo tornati di nuovo ad est nella zona di Nižnij Tagil. Lì siamo stati sistemati in un campo con i prigionieri, dei quali eravamo divisi solo da una recinzione. Era una sensazione deprimente! Nessuno di noi aveva commesso un crimine. E adesso questo: siamo stati trattati come delinquenti.

x

Nel campo sono arrivato abbastanza ammalato. Gli altri dovevano andare subito nei prossimi giorni nella foresta per il taglio. Io, per fortuna, sono stato assegnato al servizio interno. L’alloggio doveva essere pulito. E poi avevo anche il compito di pattugliare le cose degli altri che erano fuori a lavorare. Si rubava molto.

x

Il lavoro nella foresta era terribilmente pesante. Il freddo e l’insolito duro lavoro doveva essere svolto con i mezzi più semplici. Soprattutto nei primi tempi sono morti molti; sono stati uccisi dagli alberi.

La mattina presto, alla partenza, la colonna veniva contata, 40 uomini. La sera, rientrando, veniva contata un’altra volta; spesso erano solo 35 o 36. Alcuni erano anche vittime del grave gelo. Completamente esauriti si erano seduti intorno al fuoco durante le brevi pause di lavoro, addormentandosi si sono congelati.

Su slitte i cadaveri sono stati trascinati fino in prossimità del campo e poi semplicemente gettati nella neve, congelati nella postura in cui essi sono stati raggiunti dalla morte; non sono stati sepolti; nessuno aveva più la forza.

x

Tutti erano diventati insensibili che in condizioni normali non sarebbe possibile. Tutti avevano in mente la morte, ognuno era solo con se stesso. Dei morti venne registrati solo il nome. I parenti non sono stati notificati. In primavera, quando la neve si scioglieva, i cadaveri diventavano cibo per i predatori, era un luogo d’orrore e di disumanità.

Dal servizio interno sono passato alla divisione sanitaria del campo come assistente dell’infermiera. Ma difficilmente potevamo aiutare gli ammalati. Oltre a un po’di iodio e materiale del pronto soccorso non si poteva dare.

Presto venni trasferito in cucina come aiuto cuoco. È andata così: una sera qualcuno mi disse che dovevo andare da Kostja, il nostro cuoco che negli ultimi giorni aveva dormito poco ed era stremato.

x

Aveva paura che la mattina seguente potesse fare tardi e quindi il cibo per gli uomini che dovevano andare nella foresta non sarebbe stato pronto. Kostja mi chiese di aiutarlo e di svegliarlo in tempo. Mi mostrò anche che cosa voleva preparare. Poi si addormentò immediatamente sulla panca di legno.

Alle sei lo svegliai – alle sei e mezzo avrebbe dovuto distribuire il cibo. Lui scattò, bestemmiava e mi voleva colpire con il cucchiaio perché l’avevo svegliato così tardi. Se non fossi scappato via velocemente probabilmente mi avrebbe ucciso. Ma quando si accorse che la minestra mattutina stava cuocendo e tutto il resto era già pronto si calmò.

Con diffidenza assaggiò la zuppa, era soddisfatto. Probabilmente avevo la mano giusta con il sale. Kostja mi disse che ero un bravo ragazzo e che potevo rimanere con lui in cucina. Nei sei mesi successivi, come aiuto cuoco, potevo riprendermi un po’ dalla malattia. Come si sa in una cucina nessuno soffre la fame.

Ma ben presto arrivò la commissione successiva e giudicò la mia completa guarigione. Mi mandarono a lavorare in una segheria. Completamente inesperto in questa attività, mi sono ferito subito nei primi giorni. Ho schiacciato la coscia della gamba destra in mezzo a due tronchi d'albero.

Era questa la mia fine? Ma nella sfortuna ebbi un po' di fortuna. Mi rifiutai di essere portato all'ospedale militare del campo dei prigionieri. Sapevo che lì avrebbero amputato subito la gamba senza pensarci due volte.

x

Grazie all’ufficiale del politbjuro del campo, che era lì per caso, mi portarono all’ospedale nella città più vicina dove mi ha operato un professore di chirurgia. A lui devo ringraziare che non ho perso la mia gamba e che poi riuscivo a camminare senza problemi. Sono rimaste solo poche cicatrici.

Dopo il lungo soggiorno in ospedale mi mandarono per un po’ per il servizio interno fino a quando il capo del campo si accorse di me e mi fece fare da suo cocchiere. Anche se non aveva molta comprensione o simpatia per i soldati del Trudarmee, nel tempo diminuì la sua ostilità. Ancora prima della chiusura del campo di lavoro mi offrì di far venire mia madre e mia sorella da Asorna.

Con l'autorizzazione appropriata mi sono messo in cammino verso la mia famiglia. E nuovamente successe qualcosa di assolutamente inaspettato che ha dato una direzione nuova alla mia vita. Nelkolchoz in Asorna non ho trovato una buona situazione.

Quasi tutti gli uomini sono stati chiamati nell’esercito o come me nella Trudarmee. Gli anziani, le donne e gli adolescenti non potevano svolgere il lavoro. Mancavano autisti sia per trattori che per macchine combinate.

x

Il presidente del kolchoz aveva l'idea di farmi stare ad Asorna e di non farmi tornare nel campo di lavoro. Si rivolse al capo della stazione di macchine e trattori della zona. Ma anche questo non poteva decidere in merito.

Infine, la questione finì nella commissione militare. La decisione si trascinò per settimane. Sono stato chiamato almeno dieci volte alla commissione in città. Questo significava per me 35 km di andata e 35 km per il ritorno, e tutto a piedi.

L’ultimo termine per tornare nel campo era già scaduto. Da lì arrivarono telegrammi che mi definivano come latitante e chiedevano alle autorità di arrestarmi. Non avevo più nessuna speranza, ma poi arrivò la decisione. Da qualche parte in alto avevano deciso, potevo rimanere.1

continua ......

barra