Con l’avvicinarsi della prima guerra mondiale, i tedeschi venivano sempre più trattati e perseguitati come “nemico interno". 1
Quando scoppiò la guerra, almeno 300.000 tedeschi di Russia si arruolarono per combattere nell’esercito dello Zar ma, malgrado questo, i tedeschi continuavano ad essere considerati potenziali traditori.
Nel 1914 l'ultimo Zar Nicola II proibì la lingua tedesca in pubblico e nelle chiese; il tedesco a scuola era diventato una lingua straniera nemica; non più di tre tedeschi si potevano riunire in pubblico. Nel 1915 il primo caso di pogrom contro i tedeschi: tre tedeschi furono uccisi ed i negozi tedeschi svaligiati.
Nello stesso anno venne proibita la pubblicazione di libri e di giornali in lingua tedesca e vennero emanate nuove leggi che espropriavano i tedeschi e li avviavano alla deportazione. I coloni ricevettero dei buoni per risarcimento, ma li potevano riscuotere solo dopo 25 anni. Così 200.000 coloni tedeschi della Volinia vennero economicamente rovinati e cacciati via, anzi deportati in Siberia.
La maggior parte dei deportati morì durante il trasporto, il resto venne
impiegato nei kolchoz2 russi. L'intenzione era di applicare quella legge alle altre colonie tedesche
in Ucraina, quelle del Volga ed a quelle della parte europea della Russia.
1 Dirk Virnich: Emigranti - Migrazione da ovest a est e da est a ovest, Materie: Politica, Kassel, Novembre 1999.
2 I Kolchoz
nacquero nel 1918 come cooperative volontarie di contadini, proprietari dei mezzi
di produzione usati, mentre la terra rimaneva di proprietà dello stato
che la cedeva gratuitamente in uso permanente al kolchoz, per ottenere produzioni
maggiori grazie all’impiego di moderne tecnologie fornite dallo stato sovietico.
Lo stato acquistava, a prezzi inferiori a quelli del mercato, i prodotti del
kolchoz per poi ridistribuirli in maniera egualitaria.
I soci erano retribuiti sulla base delle giornate lavorative svolte; inoltre
avevano a disposizione la loro casa e per ogni singola fattoria circa 0,3 ettari
di terra ad uso privato ed un po’ di bestiame.
Convincere il contadino russo ad entrare nel kolchoz e a mettere in comune la
sua terra e i suoi strumenti di lavoro non era facile perché era convinto
che la grande azienda e la sua gestione lo riportasse al servaggio, alla condizione
di dover lavorare per gli altri e non per se stesso.
L’adesione ai kolchoz saliva molto lentamente, per cui lo stato nel 1927
rese obbligatorio la partecipazione ad un kolchoz.
I primi aderenti ai kolchoz furono i contadini più poveri, mentre quelli
medi erano abbastanza esitanti ad entrarvi.
I contadini agiati, i kulaki, non erano per niente entusiasti della collettivizzazione.
Si rifiutavano di entrare nei kolchoz e ne ostacolarono la formazione mediante
sabotaggi, incendi dolosi e gli atti di sabotaggio crebbero vertiginosamente,
le sommosse e le azioni di guerriglia dovettero essere represse con la forza
e con l’impiego dell’armata rossa.
La grave crisi tecnica, dovuta alla mancanza dei macchinari, accelerò l’eliminazione
della classe dei kulaki: essi venivano espropriati di tutti i loro beni e deportati.
I contadini inoltre erano ostili a consegnare il grano e sono arrivati ad abbandonare
le semine primaverili e a macellare parte dei loro animali piuttosto che metterli
in comune.
Questo ha provocato un calo della produzione bovina attorno al 1930. La macellazione
dei cavalli ha provocato una riduzione della capacità di traino complessiva
e gli allevamenti dimezzati una carenza di generi alimentari e di lana; cominciò anche
a scarseggiare il letame, mentre la produzione di concimi chimici, che dovevano
essere forniti dallo stato, permaneva a livelli molto bassi. Per far fronte alla
diminuzione della produzione agricola, lo stato iniziò a farsi consegnare
una sempre maggiore quantità di prodotti, pagandoli agli stessi prezzi
del 1928, mentre nel frattempo il rublo si era svalutato.
Il 1932, anno in cui il raccolto si rivelò cattivo per il secondo anno
consecutivo, segnò l’inizio della carestia.